Blog post del 17/04/2014
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E’ sempre bello leggere in modo trasversale gli sforzi curatoriali di un complesso lavoro, costruito con un taglio intellettuale e che molti dedicano con passione all’evento milanese del Salone e Fuorisalone del Mobile. Un momento magico fatto di attrazioni, che nasce e spira in pochissimi giorni di esposizione.
C’è un proliferare di accessori domestici che non ha precedenti: vasetti, piatti, tessuti, tappeti, superfici e incastri che esprimono la vera identità e la bellezza dei materiali di cui sono fatti. In questo modo le proprietà materiche vengono svelate e raccontate riscoprendo una relazione più sincera e sostenibile. Si assemblano più materiali insieme, si ricercano alternative naturali, si connettono più elementi allo stesso oggetto, si riutilizzano scarti, si riciclano sfridi per rigenerarli in nuove combinazioni di materia. C’è molta attenzione a non sprecare, all’utilizzo del necessario e basta. E’ un'altra ottica, un altro punto di vista, una bella attitudine, uno stimolo verso un fare apparentemente accessibile a tutti ma, alla fine chi sa veramente sfruttare l’occasione progettuale emerge mentre il resto scompare.
Alla fine, tutto potrebbe diventare prodotto, però sappiamo che stiamo vivendo una fase di grande cambiamento e ci siamo tutti dentro, l’importante è rimanere vitali e riuscire ad accogliere tutti questi stimoli positivi che ogni anno si riversano in una Milano che si trasforma e si fa bella per questo grande evento.
Blog post del 11-04-2014
PRIMA PAGINA! Siamo usciti con un articolo sul Salone del Mobile su Pagina99.
Design / Il Salone del Mobile di Milano è un'occasione per vedere come le università olandesi, inglesi e tedesche stanno lavorando alla creazione di una figura di “artigiano evoluto" capace di interagire sia con filiere industriali che con il computer. Il racconto dall'interno di due designer milanesi.
Il Salone del Mobile
Quest’anno sembra tutto perfetto per continuare il trend positivo degli ultimi anni. Tutto è in fiore e la temperatura ottimale. La 53esima edizione del Salone del Mobile è partita, la città palpita di eventi disseminati in molti dei suoi quartieri centrali, quasi 1000 eventi. Le strade sono affollate di persone che parlano lingue diverse, i palazzi storici del centro concedono al pubblico spazi meravigliosi insieme alle ancora molte aree dismesse e la Fiera di Rho - luogo del business dei grandi numeri per eccellenza - ha fatto il pieno di aziende che espongono. Milano in primavera diventa bellissima come mai e fino a ora non ha piovuto.
Fuori salone: i design district proliferano
Quest’anno, in aggiunta alle solite zone consolidate, si sono aperti al design nuove territori. Tutti provano a promuoversi, alcune aree rivendicano un’identità fino ad oggi sconosciuta al popolo del design, un tentativo di brand territoriale diffuso è un’occasione di riqualificazione. Quindi, alla storica Zona Tortona e alle già consolidate Brera Design District e Zona Ventura, si aggiungono le 5Vie, Zona Sant Ambrogio, San Gregorio Docet, Porta Venezia in Design, Sarpi Bridge, mentre altre sono scomparse come Zona Bovisa e Porta Romana Design District.
Devono tutti presentare qualcosa
La sempre più crescente sensazione è che, con il proliferare di tutti questi Design District tutti "debbano esserci a tutti i costi"; spesso gli spazi vengono riempiti di tantissimi oggetti e mobili con poco senso della narrativa e della generale coerenza. Si passa da location molto belle e ben connotate, come lo Spazio Orlandi che ogni anno riesce a selezionare opere provenienti da tutto il mondo presentandole con grande conoscenza, a “mercatini” distribuiti un po’ in ogni dove. In questi casi è molto evidente che la mano curatoriale non c’è e il gioco non regge più, il quantitativo di prodotti e di disordine visivo confonde e stanca molto. Perfino luoghi ‘sacri’ come la Triennale hanno un po’ perso quello spirito di un tempo che li vedeva aprire le porte del per tracciare lo scenario del momento. Per quest’anno, è anche vero che la mostra curata da Beppe Finessi e allestita da Philippe Nigro per la VII Triennale Design Museum dal titolo Autarchia-Austerità-Autoproduzione, è un ottimo lavoro di assemblaggio che racconta come in tempo di recessione la creatività assume un ruolo più di stimolo, mostrando alcune connessioni in termini di espressione progettuale e di sperimentazione. Gli altri spazi attorno alla mostra invece, sono quasi sempre caratterizzati da troppe aziende che interpretano l’occasione in modalità fieristica di stand che da riflessioni sul vivere contemporaneo.
Tanti makers
La mostra alla Triennale finisce raccontando l’autoproduzione. Per molti giovani progettisti, oggi questa sembra una via necessaria per farsi strada in un contesto molto complesso. È vero che, in senso lato, nel progetto o meglio nel passaggio tra lo studio iniziale e il fare il primo prototipo c’è sempre stato l’approccio all’autoprodotto - soprattutto se parli di mobili - ma in questi ultimi anni le difficoltà economiche, il dislocamento di molte aziende all’estero, le tecnologie e i tantissimi designer sul mercato hanno spinto sempre più verso una produzione artigianale, molto customizzata e che vede il designer divenire produttore. Spesso è l’unico modo per farsi notare, spesso è il solo modo per ‘campare’. Ma è un mondo difficile quello dell’autoproduzione, perché non sei solo il creativo, ma devi essere anche l’imprenditore, il venditore, il distributore e molto altro ancora.
Sostenibilità
Si ha l’impressione che da un po’ di tempo i grandi produttori e i giovani autoproduttori convergano verso orizzonti comuni, contaminandosi a vicenda e proponendo alla fine prodotti simili. C’è un proliferare di accessori per casa che non ha precedenti: vasetti, piatti, tessuti, tappeti, superfici e incastri che esprimono la vera identità e la bellezza dei materiali di cui sono fatti. In questo modo le proprietà materiche vengono svelate e raccontate riscoprendo una relazione più sincera. Si assemblano più materiali insieme, si ricercano alternative naturali, si connettono più componenti dello stesso oggetto, si riutilizzano scarti, si riciclano sfridi per rigenerarli in nuovi materiali, c’è molta attenzione a non sprecare, all’utilizzo del necessario e basta.
È un'altra ottica, un altro punto di vista, una bella attitudine, uno stimolo verso un fare apparentemente accessibile a tutti ma, alla fine chi sa veramente sfruttare l’occasione progettuale emerge mentre il resto scompare. Ad esempio, alcuni progetti dedicati alla "social innovation" permettono di produrre in altri luoghi dove serve veramente trasformando quelle comunità in meglio. Tanta sperimentazione che bisogna un po’ selezionare tra il mare di offerte e l’incubo dell’effetto "mercatino". Alla fine dovrebbe diventare prodotto, però sappiamo che stiamo vivendo una fase di grande cambiamento e ci siamo tutti dentro, l’importante è rimanere vitali e riuscire ad accogliere tutti questi stimoli positivi che ogni anno si riversano in una Milano che si trasforma e si fa bella per questo grande evento.
*designer, sono i fondatori dello studio Intersezioni Design Integrated
Blog post del 27/09/2012
Parole chiave:
design / hacking / open source / start-up / Sugru / Product / fai da te / DIY
"If digital stuff can be manipulated then people are going to expect it from physical products as well."
Jane ní Dhulchaointigh
Vi vogliamo raccontare la bellissima storia della tenace designer Jane ní Dhulchaointigh fondatrice dell’azienda Sugru (donna dal cognome impronunciabile perché irlandese). Un progetto lungo e tortuoso che però è andato a buon fine, sia perché Jane è stata molto brava a gestire il passaggio da progetto a prodotto, sia perché vivendo in Inghilterra le opportunità di start-up sembrano essere veramente alla portata; decisamente un altro pianeta rispetto all’Italia.
Questo racconto è anche un’occasione per parlavi di hacking fisico che è quell’atto ispirazione alla fonte di questo progetto, una pratica abbastanza comune che spesso le persone fanno in autonomia costruendo e riparando oggetti. Il punto è che il “fai da te” o DIY nel campo del design sta diventando una modalità di progettazione sempre più apprezzata. Il mondo dell’assemblare, mixare, ibridare attraverso un azione di hacking è passato da una esclusiva appartenenza elettronica legata al computer ai prodotti reali. Figlia di un’esigenza legata a doppia mandata alla crisi economica/climatica/sociale del nostro tempo, si è decisamente spostato al mondo fisico dichiarandosi attraverso diverse forme di consumo.
sugru.com/about
Sugru è una parola di derivazione gaelica “sugradh” e vuol dire play (giocare, manipolare, modellare). Mentre Jane sperimentava all’università vari incroci di materiali per un progetto al corso di Product Design alla Royal College of Art le venne un’idea che è alla base della filosofia di Sugru e che riassume così: “non volevo comprare ogni volta cose nuove, ma mi sarebbe piaciuto riparare/cambiare/modificare/rimodellare (to hack) cose esistenti che già avevo e che avrebbero potuto tornarmi utili”.
Blog post del 11/09/2012
Parole chiave:
design / design thinking / interaction / innovation / bill / moggridge
Ieri è venuto a mancare uno dei più importanti designer nel nostro tempo, Bill Moggridge, Product Designer.
Design Driven Innovation; molti progettisti credono in questa modalità operativa e di pensiero, Bill Moggridge è stato senza dubbio il maggior esponente ed impollinatore. Industrial Designer inglese, culturalmente illuminato, attentissimo ad osservare le persone per poi progettare manufatti capaci di soddisfare veramente i bisogni e le necessità. Attraverso i processi progettuali ha tracciato le linee guida più interessanti del design, è colui che ha definito cosa fosse la disciplina dell’Interaction Design.
Focus sulla disciplina: Interaction Design
www.linkiesta.it/blogs/design-kit-inspiration-and-references/focus-sulla-disciplina-interaction-design
Noto ai più per aver disegnato/progettato il primo Computer Portatile al mondo e per aver scritto il libro “Designing Interactions”, Ottobre 2006, edito dal MIT - Massachusetts Institute of Technology, Cambridge in USA. Una delle sue più importanti convinzioni si basa sul coinvolgere progettualmente più discipline insieme, ha sempre sostenuto la multidisciplinarità dei processi progettuali.
Designing Interactions è un libro, un DVD e un sito web
www.designinginteractions.com/
www.designinginteractions.com/book
mitpress.mit.edu/catalog/item/default.asp?ttype=2&tid=10934
Definisce il Design come “un ponte virtuale focalizzato sugli esseri umani - intesi come persone - che unisce le discipline tecnico-scientifiche con quelle artistico-creative tenendo in grande considerazione tutte le esperienze dirette che giorno dopo giorno la gente comune vive e sperimenta”.
Il suo interesse progettuale si è sempre sviluppato attorno ai temi legati alla Human-Computer Interaction, Social Aspects - Human-Computer Interaction, Design - Product, Computers Reference-Social Aspects-Human and Computer Interaction.
E’ stato uno dei fondatori di IDEO, una dei più grandi ed influenti studi di design al mondo.
Lo studio IDEO
www.ideo.com/
Design Thinking. Ma cos’è veramente?
www.linkiesta.it/blogs/design-kit-inspiration-and-references/design-thinking-ma-cos-e-veramente
Da alcuni anni era diventato il direttore del National Design Museum alla Smithsonian’s Cooper-Hewitt di New York, rilanciando il museo attraverso importanti mostre dove veniva spiegato come la disciplina del Design stava mutando. Importante è stata la mostra dell’anno scorso “Design with the Other 90%: CITIES”, una visione del design utile e molto User Centric, che parte dal basso, dove l’osservazione delle pratiche delle persone nelle situazioni di tutti i giorni può aiutare il progettista a pensare a giuste soluzioni, dove il designer progetta insieme alle persone coinvolte le soluzioni più indicate. Nella mostra sono state raccontate tante storie e casi reali di designer all’opera nelle grandi megalopoli del mondo, dagli slum asiatici alle favelas sudamericane, un contributo importante alla ri-definizione della disciplina del Design che negli ultimi due decenni ha dovuto mutare sostanzialmente pelle rispondendo ai cambiamenti tecnologici, sociali e industriali.
Museo - Cooper-Hewitt, National Design Museum
www.cooperhewitt.org
Mostra Design with the Other 90%: CITIES
www.designother90.org/cities/home
La progettazione partecipata è già una realtà?
www.linkiesta.it/blogs/design-kit-inspiration-and-references/progettazione-partecipata-e-gia-realta
Bill Moggridge within Bill Verplank's sketch-lecture, he defines Interaction Design to CCRMA HCI Technology course, Stanford University, 2000.
www.billverplank.com/Lecture/
www.designinginteractions.com/interviews/BillVerplank
Remembering Bill
“Few people think about it or are aware of it. But there is nothing made by human beings that does not involve a design decision somewhere.”
www.cooperhewitt.org/remembering-bill/life-work
Bill Moggridge short CV
www.designinginteractions.com/bill
One of the most successful design firms in the world and one of the first to integrate the design of software and hardware into the practice of industrial design.
Bill Moggridge 1943-2012
www.youtube.com/watch?v=PWkk9sr_GOs&feature=youtu.be
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Altri video link
Cooper-Hewitt: Bill Moggridge- What is Design?
www.youtube.com/watch?v=cOx_Zx95hxM&feature=related
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Bill Moggridge
www.youtube.com/watch?v=efK4yrjWDmY&feature=related
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DesignBoost NYC: Bill Moggridge
www.youtube.com/watch?v=tzQNOG2aglE&feature=related
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Bill Moggridge: Designing Interactions
February 2, 2007 lecture by Bill Moggridge for the Stanford University Human Computer Interaction Seminar
www.youtube.com/watch?v=kVkQYvN4_HA&feature=related
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Bill Moggridge - Director, Cooper-Hewitt National Design Museum - Imagination Conversations
www.youtube.com/watch?v=PWkk9sr_GOs#t=12
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Bill Moggridge Addresses the University of the Arts Class of 2011
www.youtube.com/watch?v=mKxUczHBnvE
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www.linkiesta.it/blogs/design-kit-inspiration-and-references/bill-moggridge-un-tributo
Blog post del 5/09/2012
Parole chiave:
business / design / innovation / 3D printing
Il 3D printing cambierà le regole produttive?
Il prodotto evolve, diventa su misura, viene costruito sempre di più attorno alle vere esigenze delle persone, arriva prima al consumatore finale e a volte costa anche meno.
Il video e l’articolo selezionati testimoniano come un prodotto tecnologico complesso (le macchine per la prototipazione rapida), permette di supportare il processo di metamorfosi di un corpo umano con nuove produzioni di pezzi a scadenze ravvicinate.
La magia sta nell’ottimizzazione del processo produttivo. In questo caso le tempistiche sono contratte in modo rilevante, non si utilizzano stampi per la creazione di un unico pezzo, si facilita una drastica diminuzione degli investimenti, si lavora a stretto contatto con il consumatore finale/paziente offrendo una qualità di risultato molto alta e precisa.
In realtà le tecnologie legate alla prototipazione rapida oggi permettono l’utilizzo di materiali capaci di soddisfare le esigenze del prodotto finito. Il Rapid Prototyping usualmente serve ai progettisti per testare e studiare l’avanzamento del pezzo, ma lo sviluppo di materiali sempre più sofisticati avvicina la distanza tra oggetti-prototipo ed oggetti-finiti.
3D-Printed "Magic Arms"
www.youtube.com/watch?v=WoZ2BgPVtA0&feature=player_embedded
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Altri Link
www.webpronews.com/3d-print-your-way-out-of-handcuffs-2012-07
www.pcworld.com/article/254118/3d_printer_lets_you_print_your_own_prescription.html
www.linkiesta.it/blogs/design-kit-inspiration-and-references/magico-3-d-printing
Blog post del 13/04/2012
Parole chiave:
design process / marchio / brand / cultura del prodotto
Produrre oggetti è una questione di brand
Le aziende che producono beni di consumo sono portatrici di storie piene di fascino, spesso il marchio è legato al nome del fondatore, vengono raccontate le imprese di persone straordinarie che hanno creduto fortemente in un sogno, di comparti produttivi che hanno perseguito una missione precisa fatta di valori creativi e di innovazione, con tanta cura del dettaglio e soprattutto un grande amore per le cose fatte bene. Queste sono aziende capaci di ricordare i passati successi e suggerire quelli moderni attraverso manufatti trasformatisi in mito.
Il mantenimento di uno standard high level
Per mantenere questo standard nel tempo bisogna operare con molta attenzione e senso critico, guardando sempre alla qualità globale del prodotto unitamente al servizio offerto che deve sempre essere di altissimo livello. La modalità di produzione e l’ingegneria proposta devono mantenersi al top, i dettagli delle finiture impeccabili, le combinazioni tra materiale, colore e soft-finishing studiate fino al minimo particolare. L’esperienza legata al prodotto deve essere efficace investendo in un servizio che segua il cliente senza essere invasivo ma puntuale nelle risposte e ovviamente, il design complessivo, gioca un ruolo fondamentale capace di unire tutti questi valori in un total-look che è vero veicolo di comunicazione che colpisce l’attenzione dei potenziali acquirenti.
Ma questa attenzione non sta soltanto nella modalità di produzione!
Una società che produce bene è anche fiera di quello che fa, ma non basta, questa fierezza spesso appartiene in modo spiccato ad alcune persone chiave dell’azienda. Le strutture che riescono ad infondere nelle persone la propria filosofia, dichiarando cosa realmente sta dietro “il come” e “il perché” si produce in un certo modo e non in un altro, sono aziende che hanno investito tempo e risorse nel comprendere appieno la propria identità di marca (di brand).
Disseminare i corporate-values
Il lavoro di disseminazione e di diffusione dei valori aziendali è uno dei progetti più interessanti e complessi che un’azienda possa svolgere. Tali valori devono essere condivisi in modo orizzontale e non in modalità top-down, nel tentativo di coinvolgere tutte le persone e renderle partecipi al progetto, sentendosi parte integrante di un sistema più ampio e con l’obiettivo di raggiungere gli scopi prefissati.
Comunicare in modo chiaro
Un brand forte deve soprattutto comunicare in modo preciso e coeso partendo dai comparti lavorativi interni all’azienda allineandosi parallelamente al percepito esterno che deve essere sviluppato molto bene. Le aziende che hanno capito l’importanza dei valori di marca lavorano costantemente su questi principi.
Spesso però si riscontra che i valori fondativi vengono diluiti attraverso i molteplici passaggi ideativi/produttivi all’interno dell’azienda, attraverso i passaggi della filiera produttiva o semplicemente perché ogni dipartimento sembra operi come se fossero a compartimenti separati provocando una discontinuità.
Una non-comunicazione fa perdere l’ incisività complessiva del progetto iniziale.
Invece, più è chiaro il messaggio e più è condivisa la strategia del brand, più le persone producono con orgoglio creando un indotto di benessere produttivo e di immagine positiva del brand.
Lavorare con le persone
Una buona comunicazione interna integrata ai meccanismi partecipativi porta le singole persone ad accrescere le competanze e a trasformarle in lavoro proattivo. A questo scopo il confronto periodico permette di raggiungere risultati sensibili. Workshop dedicati alla co-progettazione e condivisione di idee, lecture tematiche dedicate alla cultura del prodotto/progetto, approfondimenti sui valori socio-economici attorno agli stili di vita contemporanei, possono meglio spiegare dove intervenire e ridefinire quello che si fa e perché lo si fa in quel modo.
Sessioni di training mirato, possono innescare nelle persone una diversa coscienza operativa e conseguente responsabilità progettuale, rendendo più fluidi i passaggi chiave tra fasi di lavoro, i rispettivi ruoli e le attività del gruppo. Tale processo ottimizza le dinamiche di scambio e di lavoro che da slegate assumeranno più forza e coesione rendendo più tracciabile il percorso che dall’ideazione passa attraverso lo sviluppo, la produzione e il delivery finale.
Per LINKIESTA «Design Kit - Inspiration and references»
www.linkiesta.it/blogs/design-kit-inspiration-and-references/produrre-e-soprattutto-una-questione-di-brand